Il fenomeno, che una superficie (tipicamente metalli alcalini) quando esposta alla radiazione elettromagnetica (luce visibile) emette elettroni, fu scoperto da Hertz e Hallwachs nel 1887 durante gli esperimenti con un generatore a scintilla. Hertz trovò che la sensibilità del suo dispositivo spark-gap può essere aumentata dall’esposizione alla luce visibile o ultravioletta e che la luce aveva ovviamente qualche effetto elettrico. Poco dopo la scoperta di Hertz, nel 1899, il fisico inglese J. J. Thomson dimostrò che la luce UV, che cade sulla superficie metallica, provoca l’emissione di elettroni dalla superficie. Nel 1902, il fisico ungherese Philipp Lenard fece le prime misure quantitative dell’effetto fotoelettrico. Osservò che l’energia dei singoli elettroni emessi aumentava con la frequenza della luce (che è legata al colore).
Anche se questo è interessante, è difficilmente spiegabile dalla teoria classica della radiazione elettromagnetica che presupponeva l’esistenza di un mezzo stazionario (l’etere luminifero) attraverso il quale si propagava la luce. Nel 1905 Albert Einstein pubblicò quattro articoli rivoluzionari sull’effetto fotoelettrico, sul moto browniano, sulla relatività speciale e sull’equivalenza di massa ed energia. Questi articoli furono pubblicati nella rivista Annalen der Physik e contribuirono significativamente alla fondazione della fisica moderna. Nell’articolo sull’effetto fotoelettrico (“On a Heuristic Viewpoint Concerning the Production and Transformation of Light”) risolse il paradosso descrivendo la luce come composta da quanti discreti (in tedesco: das Lichtquant), piuttosto che da onde continue. Questa teoria era basata sulla teoria della radiazione del corpo nero di Max Planck, che presuppone che l’energia luminosa possa essere assorbita o emessa solo in quantità discrete, chiamate quanti. L’energia del fotone in ogni quantum di luce è uguale alla sua frequenza (ν) moltiplicata per una costante nota come costante di Planck (h), o alternativamente, utilizzando la lunghezza d’onda (λ) e la velocità della luce (c):
E=hc/λ=hν
Ogni fotone sopra una frequenza di soglia (specifica per ogni materiale) ha l’energia necessaria per espellere un singolo elettrone, creando l’effetto osservato. La teoria di Einstein predice che l’energia cinetica massima dell’elettrone emesso dipende solo dalla frequenza della luce incidente e non dalla sua intensità. Se si illumina il doppio della luce (alta intensità) si ottiene il doppio dei fotoni, e più elettroni che si liberano, ma l’energia cinetica massima di quei singoli elettroni rimane la stessa. La sperimentazione dell’effetto fotoelettrico fu portata avanti in modo estensivo da Robert Millikan nel 1915, Robert Millikan dimostrò che la previsione di Einstein era corretta. Questa scoperta contribuì alla rivoluzione quantistica della fisica e valse a Einstein il premio Nobel per la fisica nel 1921.